SPERLONGA
Visita del Museo Archeologico Nazionale
15 Luglio 2012
Iniziamo
la nostra visita partendo da Sperlonga, un insediamento di antichissime origini, si
pensa addirittura che fosse l’antica Amiclae dei Laconi. Poi i Romani,
attratti dalla bellezza del posto, dalla mitezza del clima e dalle sue acque
cristalline, cominciarono a frequentare il luogo costruendovi ville sontuose
per i loro otii, coltivando vasti terreni adatti per la produzione di cereali
e incrementando l’attività della pesca per soddisfare le esigenze dell’urbe la
cui popolazione aumentava a vista d’occhio. Ancora oggi, nonostante
l’inevitabile sviluppo demografico e delle conseguenti costruzioni, si ha una
suggestiva veduta del borgo antico arroccato sulle pendici della collina di
San Magno, davvero una bella foto.
Lasciamo
Sperlonga alle spalle e ci dirigiamo verso sud percorrendo la via Flacca,
l’antica strada costiera costruita dai romani che collegava Terracina a Gaeta,
oggi in gran parte sostituita dalla statale 7, ma per gli amanti del trekking,
rimangono agibili lunghi tratti suggestivi dell’antica via soprattutto
quelli che superano il promontorio di Capovento, proprio quello sotto il quale
si sviluppa la grotta di Tiberio che andremo a visitare tra breve. Dopo pochi
chilometri e giusto prima del tunnel che perfora il promontorio di Capovento,
sulla destra si scorge la costruzione del Museo che ha l’insolito aspetto di
una bella, gradevole, imponente villa residenziale in stile moderno e questa è
una prima sorpresa; la seconda è che si ha l’mpressione di entrare in un luogo
privato dove i padroni di casa ti accolgono con una inaspettata gentilezza ed
affabilità mettendoti nelle migliori condizioni per visitare il Museo. Questa
bella costruzione fu progettata dall’ingegner Giorgio Zama e realizzata dagli
architetti Giuseppe Zander e Vincenzo Piccini, come si legge nel catalogo del Museo.
Gli ampi spazi interni furono pensati in relazione alle ciclopiche
composizioni scultoree e devo dire che esse trovano la miglior collocazione
possibile. Il Museo fu inaugurato il 26 novembre 1963.
Fu solo
a partire dal 1957 che iniziarono gli scavi sistematici della villa e della
grotta di Tiberio che portarono alla luce migliaia di frammenti scultorei che
richiedevano un accurato lavoro di restauro e per questo motivo fu progettato
di trasportarli a Roma. Niente da fare, la popolazione di Sperlonga si oppose
con tutte le forze dal timore di essere “espropriata del loro tesoro”. Da
questa iniziativa di protesta, che trovo di straordinario valore umano, nasce
la necessità di costruire il Museo che ci accingiamo a visitare.
Un’altra
cosa va detta: questo Museo ha la peculiarità di conservare solo ed
esclusivamente reperti archeologici provenienti da un unico sito: la villa e
la grotta di Tiberio situate nelle immediate adiacenze.
Diamo
inizio alla visita.
Giunti
nell’atrio,veniamo colpiti dalla monumentalità delle composizioni scultoree
che fanno presagire una visita di particolare interesse. Verrebbe voglia di
dirigerci subito verso il gruppo della nave di Ulisse assalita da Scilla, il
ciclopico gruppo dell’accecamento di Polifemo, quello del ratto del Palladio e
infine Ulisse che trascina il corpo di Achille, una visione d’insieme che ti
fa venire i brividi. Ma cominciamo la nostra visita con le opere minori.
Ai
lati della scala principale, troviamo due erme. L’erme era una specie di stele rettangolare
alla cui sommità era collocata una testa umana, alcune volte una testa
giovanile su un lato e una senile sull’altro a ricordarci lo scorrere del
tempo. L’erme veniva normalmente collocato lungo le strade, davanti alle porte
di casa e veniva usato per segnare un confine.
Marmo, h. 46 cm.
Prima
età imperiale, sembra ispirata a un originale greco del IV sec. a.C.
L’erma
raffigura un volto ovale, caratterizzato da occhi a mandorla, bocca
semichiusa, porta sul capo un cappuccio floscio terminante in quattro
appendici. Nel personaggio è stato riconosciuto il ritratto di Enea, oppure
Iulius Ascanius, suo figlio.
La
fanciulla indossa un chitone aderente
al corpo e un ampio mantello che, dalla spalla sinistra, cade al suolo. L’acconciatura,
detta “a melone”, porta una scriminatura centrale e i capelli sono raccolti sulla sommità in un
nodo del tipo delle Afroditi ellenistiche. Si pensa che la scultura
rappresenti la maga Circe nel momento in cui trasforma i compagni di Ulisse in
maiali. Questa deduzione fu suggerita in seguito al ritrovamento dei tre maialini
marmorei che vediamo ai piedi della maga.
Davanti a questo curiosissimo putto ci scappa un’espressione divertita, con quei boccoli laterali è davvero buffo. La scultura in marmo bianco è alta 87 cm. e si erge su una base ovale. La composizione è il risultato dell’unione di più frammenti rinvenuti in momenti diversi: la parte superiore fu rinvenuta durante i primi scavi nella villa, mentre la parte inferiore fu ripescata quindici anni più tardi nel tratto di mare antistante, dopo qualche tempo fu trovato il pilastrino. L’impressione che si ha è quella che il putto, con i suoi boccoli vezzosi, osservi attentamente lo zampillo d’acqua che fuoriesce dal vaso che alimenta una vasca sottostante. Il tutto poteva costituire un elemento decorativo di un giardino o di un cortile della villa.
Si
tratta certamente di una pregevole opera realizzata nella prima età imperiale
in una bottega artigianale romana.
Questo putto grassoccio, seduto con il busto ruotato all’indietro e con un’espressione così divertita non può che metterti allegria. E’ inevitabile il paragone con i putti rinascimentali. Tiene le braccia alzate nel tentativo di mettersi sul viso una maschera barbuta, ma non ce la fa e la cosa lo diverte moltissimo. La scenetta è di un realismo sorprendente.
Questa
testa sembra essere il ritratto di Traiano.
E’ in marmo bianco ed è alta 27
cm.
Il
volto è incorniciato da una capigliatura a calotta con ciocche lisce che scendono
a frangia sulla fronte e sulle tempie. Nonostante il viso sia in parte
danneggiato, lo rendono riconoscibile con Traiano, ma non è possibile
precisare se il pezzo sia coevo all’imperatore (98-117 d.C.)
Si può
comunque datare al primo quarto del II sec. d.C.
Nella
III sala sono esposte tre belle
maschere teatrali databili al I sec. d.C. Sono state ritrovate all’interno
della grotta e lo Iacopi avanza l’ipotesi che fossero usate come paralumi
poste entro nicchie scavate nella volta, creando un effetto scenico
particolarmente suggestivo.
Trovo che questa maschera di
vecchio sprigioni un flusso magnetico. La sua espressione è di una tale forza
che non riesci a distogliere lo sguardo. Si ha l’impressione viva che sia
vittima di un’esperienza terrificante e
che ti stia chiedendo di aiutarlo ad uscirne.
Questa
maschera tragica rappresenta un giovane dall’aspetto bonario. Il suo volto è
imberbe incorniciato da una bella capigliatura a riccioli inanellati. Le
pupille sbarrate e la bocca aperta esprimono sorpresa e terrore, come si
conviene a una maschera teatrale.
Ecco
una lastra di marmo italico (cm. 56x50) rinvenuta nella grotta di Tiberio su
cui è inciso un testo in latino, composto da un tale e sconosciuto Faustino
Felix e che recita come segue:
“Mantua
si posset divinum reddere vatem, immensum miratus opus hic cederet antro, ad
que dolos Ithaci flammas et lumen ademtum semiferi somno pariter vinoque
gravati, speluncas vivosque lacus cyclopea saxa, saevitiam Scyllae fractamque
in gurgite puppim ipse fateretur nullo sic carmine vivas ut artificis express
quam sola exsuperat natura. Faustinus Felix dominis ho...”
“Se
Mantova potesse restituirci il divino poeta (Virgilio) questi, impressionato
dall’immensità dell’opera, si allontanerebbe vinto dall’antro ed egli stesso
riconoscerebbe che nessuna poesia potrebbe rappresentare gli inganni
dell’itacense, le fiamme e l’occhio strappato al semiferino (Polifemo)
parimenti appesantito dal vino e dal sonno le spelonche e i vivi laghi e le
ciclopiche rocce, la crudeltà di Scilla e la poppa della nave spezzata dal
vortice così come le ha rese l’abilità dell’artista, che solo la natura
(maestra e genitrice di esse) supera. Faustino con gioia (dedica) ai suoi
signori.”
La
testa, invece è in marmo frigio bianco. Ma secondo alcuni non può essere
pertinente al corpo di Ganimede dal momento che risulta di dimensioni maggiori
rispetto all’incavo in cui andava alloggiata.
Ed ora passiamo a visitare i gruppi
marmorei che fanno parte di questo Museo, un vero gioiello.
Queste colossali composizioni
facevano parte della decorazione della grotta di Tiberio, la “spelunca” da cui
trae il nome il borgo che sorgerà nelle vicinanze, oggi Sperlonga.Buona parte degli studiosi sono propensi a pensare che si tratta di sculture eseguite nel I sec. d.C. , espressamente ideate per la decorazione del sito, mentre rimane debole la proposta che si tratti di originali greci medio-tardo ellenistico (II-I sec. a.C.).
La scena che si presenta al visitatore è di una drammaticità sconvolgente, ti senti quasi preso da una delle spire di Scilla per farti partecipe al massacro. Osservando attentamente tra questo groviglio di marmi, si distinguono i cinque compagni di Ulisse in atteggiamenti disperati nel tentativo di affrontare o scappare dalle spire del mostro. Si è subito colpiti dall’immagine di una belva famelica che conficca gli artigli di una zampa nella spalla sinistra di un marinaio mentre lo azzanna al collo: sembra di sentire lo scricchiolio delle ossa.
Se un giorno andrete a visitare questo Museo, come mi auguro e vi soffermerete davanti a questa composizione mi confermerete che anche voi siete stati così coinvolti dalla scena da esserne emotivamente colpiti.
Al centro del gruppo giace il gigante, sdraiato su una roccia con la testa riversa all’indietro; il suo stato di ebbrezza traspare dalla postura rilassata, dalla posizione delle gambe, soprattutto dal braccio sinistro disteso verso il basso con la mano aperta dalla quale è scivolata la tazza ormai vuola che Ulisse gli aveva porto ricolma di vino per ben tre volte. Ulisse si è portato in cima ad una roccia per essere più vicino al volto del ciclope e per dirigere con precisione la punta dell’asta incandescente nell’occhio di Polifemo.
Di
straordinaria bellezza e perfezione anatomica è questa figura posta sulla
sinistra del gruppo nell'atto di impugnare l’estremità del palo per
conficcarlo nell’occhio di Polifemo. Un
vero capolavore dell’arte scultorea.
IL RATTO DEL PALLADIO
Quetsa statua
acefala viene interpretata come Ulisse nella composizione del ratto del
Palladio dove Diomede stringe nella mano sinistra il simulacro di Atena,
appunto il Palladio. Rimane ben poco di questo gruppo e non ho potuto
riprendere le altre due immagini cioè la testa di Diomede e il Palladio perchè proprio in questo momento la curatrice del museo con molta gentilezza e con un lieve tocco di fermezza, mi avvisa che il Museo sta per chiudere. Rimane ancora da completare il gruppo del Palladio, qualche altra scultura, ma soprattutto la visita a quel che resta della villa e la grotta di Tiberio. Ma ciò costituisce un ottimo pretesto per ritornare in questo luogo di straordinaria bellezza. Tiberio aveva visto giusto!
Quindi
alla prossima!
Molto bella la "riviera di Ulisse",come viene oggi chiamata la costa che va da Gaeta a Terracina.Da visitare la villa di Tiberio,dove ritorneremo presto,per ricalcare la storia ed i fasti di quel grande.Bravissimo tu, nel descrivere i tesori d'arte esposti nel bel museo di Sperlonga.
RispondiEliminaL'Italia e' un vero scrigno di opere d'arte!! In ogni piccolo paese o citta' vi sono cose da scoprire.
Peccato che non sempre siano valorizzate o ben conservate,come si conviene ad inestimabili opere.
Un saluto ed a presto da Enrifrank.
Carissimi solo oggi 2 maggio 2014 leggo il vostro commento, non rivisitavo il mio blog da quel tempo. Lo aggiornerò con altre visite. Sarete informati. Grazie e spero veramente di vedervi presto
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