sabato 15 settembre 2012

2012 SPERLONGA - MUSEO ARCHEOLOGICO


SPERLONGA

Visita del Museo Archeologico Nazionale
15 Luglio 2012
 
Iniziamo la nostra visita partendo da Sperlonga, un insediamento di antichissime origini, si pensa addirittura che fosse l’antica Amiclae dei Laconi. Poi i Romani, attratti dalla bellezza del posto, dalla mitezza del clima e dalle sue acque cristalline, cominciarono a frequentare il luogo costruendovi ville sontuose per i loro otii, coltivando vasti terreni adatti per la produzione di cereali e incrementando l’attività della pesca per soddisfare le esigenze dell’urbe la cui popolazione aumentava a vista d’occhio. Ancora oggi, nonostante l’inevitabile sviluppo demografico e delle conseguenti costruzioni, si ha una suggestiva veduta del borgo antico arroccato sulle pendici della collina di San Magno, davvero una bella foto.

Lasciamo Sperlonga alle spalle e ci dirigiamo verso sud percorrendo la via Flacca, l’antica strada costiera costruita dai romani che collegava Terracina a Gaeta, oggi in gran parte sostituita dalla statale 7, ma per gli amanti del trekking, rimangono agibili lunghi tratti suggestivi dell’antica via soprattutto quelli che superano il promontorio di Capovento, proprio quello sotto il quale si sviluppa la grotta di Tiberio che andremo a visitare tra breve. Dopo pochi chilometri e giusto prima del tunnel che perfora il promontorio di Capovento, sulla destra si scorge la costruzione del Museo che ha l’insolito aspetto di una bella, gradevole, imponente villa residenziale in stile moderno e questa è una prima sorpresa; la seconda è che si ha l’mpressione di entrare in un luogo privato dove i padroni di casa ti accolgono con una inaspettata gentilezza ed affabilità mettendoti nelle migliori condizioni per visitare il Museo. Questa bella costruzione fu progettata dall’ingegner Giorgio Zama e realizzata dagli architetti Giuseppe Zander e Vincenzo Piccini, come si legge nel catalogo del Museo. Gli ampi spazi interni furono pensati in relazione alle ciclopiche composizioni scultoree e devo dire che esse trovano la miglior collocazione possibile. Il Museo fu inaugurato il 26 novembre 1963.

Fu solo a partire dal 1957 che iniziarono gli scavi sistematici della villa e della grotta di Tiberio che portarono alla luce migliaia di frammenti scultorei che richiedevano un accurato lavoro di restauro e per questo motivo fu progettato di trasportarli a Roma. Niente da fare, la popolazione di Sperlonga si oppose con tutte le forze dal timore di essere “espropriata del loro tesoro”. Da questa iniziativa di protesta, che trovo di straordinario valore umano, nasce la necessità di costruire il Museo che ci accingiamo a visitare.

Un’altra cosa va detta: questo Museo ha la peculiarità di conservare solo ed esclusivamente reperti archeologici provenienti da un unico sito: la villa e la grotta di Tiberio situate nelle immediate adiacenze.

Diamo inizio alla visita.

Giunti nell’atrio,veniamo colpiti dalla monumentalità delle composizioni scultoree che fanno presagire una visita di particolare interesse. Verrebbe voglia di dirigerci subito verso il gruppo della nave di Ulisse assalita da Scilla, il ciclopico gruppo dell’accecamento di Polifemo, quello del ratto del Palladio e infine Ulisse che trascina il corpo di Achille, una visione d’insieme che ti fa venire i brividi. Ma cominciamo la nostra visita con le opere minori.
 
 
Ai lati della scala principale, troviamo due erme. L’erme era una specie di stele rettangolare alla cui sommità era collocata una testa umana, alcune volte una testa giovanile su un lato e una senile  sull’altro a ricordarci lo scorrere del tempo. L’erme veniva normalmente collocato lungo le strade, davanti alle porte di casa e veniva usato per segnare un confine.

 


 

 

Erma del presunto Enea
Marmo, h. 46 cm.

Prima età imperiale, sembra ispirata a un originale greco del IV sec. a.C.
  

L’erma raffigura un volto ovale, caratterizzato da occhi a mandorla, bocca semichiusa, porta sul capo un cappuccio floscio terminante in quattro appendici. Nel personaggio è stato riconosciuto il ritratto di Enea, oppure Iulius Ascanius, suo figlio.

 
Più oltre ci troviamo di fronte questa bellissima statua raffigurante una fanciulla panneggiata, in marmo bianco, h. 1,10 m. Forse di età tiberiana.



 

La fanciulla indossa  un chitone aderente al corpo e un ampio mantello che, dalla spalla sinistra, cade al suolo. L’acconciatura, detta “a melone”, porta una scriminatura centrale e  i capelli sono raccolti sulla sommità in un nodo del tipo delle Afroditi ellenistiche. Si pensa che la scultura rappresenti la maga Circe nel momento in cui trasforma i compagni di Ulisse in maiali. Questa deduzione fu suggerita in seguito al ritrovamento dei tre maialini marmorei che vediamo ai piedi della maga.

 

 

 
  
 Davanti a questo curiosissimo putto ci scappa un’espressione divertita, con quei boccoli laterali è davvero buffo. La scultura in marmo bianco è alta 87 cm. e si erge su una base ovale. La composizione è il risultato dell’unione di più frammenti rinvenuti in momenti diversi: la parte superiore fu rinvenuta durante i primi scavi nella villa, mentre la parte inferiore fu ripescata quindici anni più tardi nel tratto di mare antistante, dopo qualche tempo fu trovato il pilastrino. L’impressione che si ha è quella che il putto, con i suoi boccoli vezzosi, osservi attentamente lo zampillo d’acqua che fuoriesce dal vaso che alimenta una vasca sottostante. Il tutto poteva costituire un elemento decorativo di un giardino o di un cortile della villa.

Si tratta certamente di una pregevole opera realizzata nella prima età imperiale in una bottega artigianale romana.

 

 




Questo putto grassoccio, seduto con il busto ruotato all’indietro e con un’espressione così divertita non può che metterti allegria. E’ inevitabile il paragone con i putti rinascimentali.  Tiene le braccia alzate nel tentativo di mettersi sul viso una maschera barbuta, ma non ce la fa e la cosa lo diverte moltissimo. La scenetta è di un realismo sorprendente.

 La statua è in marmo bianco ed è alta 98 cm.

 

 

 

  

 

Questa testa sembra essere il ritratto di Traiano.  E’ in marmo bianco ed è alta  27 cm.

Il volto è incorniciato da una capigliatura a calotta con ciocche lisce che scendono a frangia sulla fronte e sulle tempie. Nonostante il viso sia in parte danneggiato, lo rendono riconoscibile con Traiano, ma non è possibile precisare se il pezzo sia coevo all’imperatore (98-117 d.C.)

Si può comunque datare al primo quarto del II sec. d.C.

 

 

 

 

Nella III sala sono esposte tre  belle maschere teatrali databili al I sec. d.C. Sono state ritrovate all’interno della grotta e lo Iacopi avanza l’ipotesi che fossero usate come paralumi poste entro nicchie scavate nella volta, creando un effetto scenico particolarmente suggestivo.

 

Questa maschera di vecchio ha una folta barba bipartita e una capigliatura abbellita da  morbidi riccioli. I baffi si uniscono alla barba incorniciando la bocca aperta che esprime sorpresa, la fronte corrugata e le ampie pupille accentuano l’espressività della maschera tra il terrore e la crudeltà.

 

 

 

 

Trovo che questa maschera di vecchio sprigioni un flusso magnetico. La sua espressione è di una tale forza che non riesci a distogliere lo sguardo. Si ha l’impressione viva che sia vittima di un’esperienza terrificante  e che ti stia chiedendo di aiutarlo ad uscirne.  

 

 

 

Questa maschera tragica rappresenta un giovane dall’aspetto bonario. Il suo volto è imberbe incorniciato da una bella capigliatura a riccioli inanellati. Le pupille sbarrate e la bocca aperta esprimono sorpresa e terrore, come si conviene a una maschera teatrale.

 

 

 

 

Ecco una lastra di marmo italico (cm. 56x50) rinvenuta nella grotta di Tiberio su cui è inciso un testo in latino, composto da un tale e sconosciuto Faustino Felix e che recita come segue:


“Mantua si posset divinum reddere vatem, immensum miratus opus hic cederet antro, ad que dolos Ithaci flammas et lumen ademtum semiferi somno pariter vinoque gravati, speluncas vivosque lacus cyclopea saxa, saevitiam Scyllae fractamque in gurgite puppim ipse fateretur nullo sic carmine vivas ut artificis express quam sola exsuperat natura. Faustinus Felix dominis ho...”

“Se Mantova potesse restituirci il divino poeta (Virgilio) questi, impressionato dall’immensità dell’opera, si allontanerebbe vinto dall’antro ed egli stesso riconoscerebbe che nessuna poesia potrebbe rappresentare gli inganni dell’itacense, le fiamme e l’occhio strappato al semiferino (Polifemo) parimenti appesantito dal vino e dal sonno le spelonche e i vivi laghi e le ciclopiche rocce, la crudeltà di Scilla e la poppa della nave spezzata dal vortice così come le ha rese l’abilità dell’artista, che solo la natura (maestra e genitrice di esse) supera. Faustino con gioia (dedica) ai suoi signori.”

Sempre nella III Sala troviamo questa bellissima composizione in marmo frigio, denominato dai Romani “pavonazzetto” per le venature violacee, alta ben 2,25 metri. La scultura fu ricomposta da più di 360 frammenti trovati sparsi nella grotta di Tiberio. Si tratta della raffigurazione del momento culminante in cui Ganimede che, come si sa, era un principe troiano, “il più bello tra i mortali” viene rapito dall’aquila di Zeus il quale, affascinato dalla sua bellezza, lo fece trasportare sull’Olimpo per metterlo al suo servizio in qualità di coppiere degli dèi, suscitando in tal modo l’ira di Hera. Il giovane sormontato dal rapace con le ali semispiegate e il collo ritorto, porta una tunica e pantaloni attillati. La composizione è databile al I sec. a.C.

 

 

La testa, invece è in marmo frigio bianco. Ma secondo alcuni non può essere pertinente al corpo di Ganimede dal momento che risulta di dimensioni maggiori rispetto all’incavo in cui andava alloggiata.

 

 

  

Ed ora passiamo a visitare i gruppi marmorei che fanno parte di questo Museo, un vero gioiello.
Queste colossali composizioni facevano parte della decorazione della grotta di Tiberio, la “spelunca” da cui trae il nome il borgo che sorgerà nelle vicinanze, oggi Sperlonga.
Buona parte degli studiosi sono propensi a pensare che si tratta di sculture eseguite nel I sec. d.C. , espressamente ideate per la decorazione del sito, mentre rimane debole la proposta che si tratti di originali greci medio-tardo ellenistico (II-I sec. a.C.).

 
Nella I Sala ammiriamo il gruppo di Scilla, una monumentale  composizione scultorea che non trova pari nell’antichità. Raffigura l’assalto del mostro Scilla all’imbarcazione di Ulisse in cui aveva perso, come preannunciatogli dalla maga Circe, sei compagni. Girando attorno a questo stupefacente gruppo marmoreo si percepisce con grande realismo la drammaticità della scena. Della parte superiore della statua di Scilla rimangono soltanto alcuni frammenti delle braccia che ci danno comunque la netta impressione della ferocia del mostro che con la mano destra afferra il nocchiero e con la sinistra in alto in atteggiamento di brandire forse il timone della nave. Nella Scilla di questo gruppo, tuttavia  l’artista ha voluto presentare la mitica creatura più che un temibile mostro marino, come una creatura vittima del proprio destino a vivere una duplice natura. Ciò lo possiamo evincere  dalla bellezza del busto in contrasto dirompente con la mostruosità della metà inferiore e dal suo sguardo fisso che è quasi assente ed estraneo al massacro. La leggenda ci racconta  la disavventura della figlia di Nisos, re di Megara, vittima di un incantesimo da parte di Circe, a causa del suo amore per Glaukos. La poveretta entrata nell’acqua in cui soleva bagnarsi, in precedenza avvelenata dalla perfida maga, vide tramutarsi le gambe in lunghe code serpentine mentre dal suo ventre spuntava una cerchia di protomi canine.
La scena che si presenta al visitatore è di una drammaticità sconvolgente, ti senti quasi preso da una delle spire di Scilla per farti partecipe al massacro. Osservando attentamente tra questo groviglio di marmi, si distinguono i cinque compagni di Ulisse in atteggiamenti disperati nel tentativo di affrontare o scappare dalle spire del mostro. Si è subito colpiti dall’immagine di una belva famelica che conficca gli artigli di una zampa nella spalla sinistra di un marinaio mentre lo azzanna al collo: sembra di sentire lo scricchiolio delle ossa.

  Una delle figure più drammatiche è rappresentata dal timoniere che si aggrappa con forza a poppa volgendo uno sguardo terrorizzato verso il gorgo di Cariddi. Il braccio sinistro teso come per respingere l’attacco del mostro. Sul volto scorgiamo tutto l’orrore e la disperazione per la sua tragica fine imminente.
Se un giorno andrete a visitare questo Museo, come mi auguro e vi soffermerete davanti a questa composizione mi confermerete che anche voi siete stati così coinvolti dalla scena da esserne emotivamente colpiti.

 

 

 IL GRUPPO DI POLIFEMO

Negli anni settanta fu eseguito questo calco in gesso e resina di proporzioni al vero, sulla base di elementi superstiti. La scena occupa l’intera seconda Sala ed è di dimensioni veramente ciclopiche e ci racconta la vicenda dell’accecamento di Polifemo dormiente da parte di Ulisse e dei suoi compagni, così come doveva presentarsi sul fondo della grotta. Passiamo alla lettura di questa colossale composizione.
Al centro del gruppo giace il gigante, sdraiato su una roccia con la testa riversa all’indietro; il suo stato di ebbrezza traspare dalla postura rilassata, dalla posizione delle gambe, soprattutto dal braccio sinistro disteso verso il basso con la mano aperta dalla quale è scivolata la tazza ormai vuola che Ulisse gli aveva porto ricolma di vino per ben tre volte.  Ulisse si è portato in cima ad una roccia per essere più vicino al volto del ciclope e per dirigere con precisione la punta dell’asta incandescente nell’occhio di Polifemo.

Questo personaggio che è posto alla destra del gruppo, assiste alla scena terrorizzato dall'eventualità che il gigante si risvegli. Il braccio destro è proteso nella direzione di Polifemo come per proteggersi e nella mano sinistra tiene l’otre che conteneva il vino versato nella tazza. La tensione è fortemente evidenziata dalla muscolatura delle gambe pronte allo scatto.

 

 
Di straordinaria bellezza e perfezione anatomica è questa figura posta sulla sinistra del gruppo nell'atto di impugnare l’estremità del palo per conficcarlo nell’occhio di Polifemo.  Un vero capolavore dell’arte scultorea.

 
Per quanto riguarda la testa di Ulisse va subito detto che l’attribuzione si basa su elementi solo indicativi, ma gli studiosi sono abbastanza concordi nel confermare che questa testa-ritratto si riferisce a Ulisse, ormai avanti con gli anni. I lineamenti del viso, la fronte aggrottata, le orbite incavate dalla fatica, la bocca semiaperta, la barba incolta così come le ciocche disordinate dei capelli, fanno di quest’opera un vero capolavoro di arte ellenistica.

 

 

IL RATTO DEL PALLADIO

Quetsa statua acefala viene interpretata come Ulisse nella composizione del ratto del Palladio dove Diomede stringe nella mano sinistra il simulacro di Atena, appunto il Palladio. Rimane ben poco di questo gruppo e non ho potuto riprendere le altre due immagini cioè la testa di Diomede e il Palladio perchè proprio in questo momento la curatrice del museo con molta gentilezza e con un lieve tocco di fermezza, mi avvisa che il Museo sta per chiudere. Rimane ancora da completare il gruppo del Palladio, qualche altra scultura, ma soprattutto la visita a quel che resta della villa e la grotta di Tiberio. Ma ciò costituisce un ottimo pretesto per ritornare in questo luogo di straordinaria bellezza. Tiberio aveva visto giusto!  

Quindi alla prossima!

2 commenti:

  1. Molto bella la "riviera di Ulisse",come viene oggi chiamata la costa che va da Gaeta a Terracina.Da visitare la villa di Tiberio,dove ritorneremo presto,per ricalcare la storia ed i fasti di quel grande.Bravissimo tu, nel descrivere i tesori d'arte esposti nel bel museo di Sperlonga.
    L'Italia e' un vero scrigno di opere d'arte!! In ogni piccolo paese o citta' vi sono cose da scoprire.
    Peccato che non sempre siano valorizzate o ben conservate,come si conviene ad inestimabili opere.
    Un saluto ed a presto da Enrifrank.

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    1. Carissimi solo oggi 2 maggio 2014 leggo il vostro commento, non rivisitavo il mio blog da quel tempo. Lo aggiornerò con altre visite. Sarete informati. Grazie e spero veramente di vedervi presto
      Giampietro

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