giovedì 6 dicembre 2012

1977 - SECONDO VIAGGIO IN ESTREMO ORIENTE


1977 - SECONDO VIAGGIO IN ESTREMO ORIENTE
            Hong Kong - Taipei - Bangkok - Colombo


Ho 36 anni.

E’ il 15 dicembre e sono in partenza per Hong Kong. Ci ritorno dopo quattordici anni dal primo viaggio in Estremo Oriente. Da allora sono cambiate molte cose nella mia vita. Da poco più di sei anni ho aperto un ufficio interamente specializzato nell’organizzazione di viaggi per uomini d’affari, per la partecipazione a esposizioni internazionali, per missioni economiche e per visite tecnico-professionali in ogni settore dell’industria e in ogni parte del mondo. E’ la prima agenzia di viaggi in Italia del suo genere, così come viene riportato nelle riviste economiche e ne sono piuttosto fiero. E’ proprio per uno di questi viaggi che ora mi trovo di nuovo sulla stessa rotta a bordo di un moderno DC-10 Jet della Lufthansa. Sto accompagnando un gruppo di una decina d’imprenditori italiani che hanno aderito ad una mia proposta di visitare la prima edizione dei saloni asiatici di articoli e abbigliamento sportivo che si tengono a Hong Kong e a Taipei in date consecutive. Sono tutti esponenti della migliore industria italiana alla ricerca di nuovi mercati, di materiali innovativi e soprattutto di industrie manifatturiere che offrano mano d’opera a basso costo. Per questa ricerca mi sono avvalso della collaborazione del Hong Kong Trade Development Council e del Taiwan Trade Centre. Considerata l’importanza dei partecipanti e degli incontri professionali programmati in entrambe le città, ho ritenuto opportuno accompagnarli personalmente.
Rispetto al vecchio e rumoroso Comet, ormai in disuso, quest’aereo è di dimensioni gigantesche e molto confortevole. Come d’abitudine, subito dopo il decollo, mi piace dare un’occhiata alla rivista di bordo e mi soffermo sulla lettura dei dati tecnici di questo straordinario aereo. Rimango sorpreso nel leggere che la capacità massima è di 280 passeggeri e da una rapida occhiata ho l’impressione che ci siano tutti a bordo; inoltre con il carico dei passeggeri, dei bagagli a mano, di quelli registrati e delle merci nella stiva si giunge ad un peso al decollo di circa 263,000 kg. Mi chiedo come possa aver decollato, ma la risposta sta nel fatto che questo aereo ha un’apertura alare di oltre 50 metri. Sarà tutto chiaro secondo la fisica, ma per me rimane sempre un mistero. Il servizio a bordo è impeccabile e l’andirivieni delle hostess è incessante. Dopo uno scalo a New Delhi, questa volta senza incidenti e a Bangkok, atterriamo puntuali all’aeroporto Kai Tak di Hong Kong. Un rapido flash mi porta alla memoria i momenti di panico vissuti durante l’atterraggio con il Comet.

Nel vecchio terminal d’allora, piccolo e un po’ caotico, sono in corso ingenti lavori di ampliamento che costringono i passeggeri a una fastidiosa serie di disagi. Dopo una estenuante attesa per recuperare i nostri bagagli e dopo il controllo della dogana, alquanto meticoloso, incontro il mio corrispondente Mr .Zhangjou che si premura ad assicurarmi sugli appuntamenti con gli operatori economici che sono tutti confermati e programmati secondo le mie richieste.
Usciamo dal terminal, eh sì, lo stesso odore penetrante della salsedine, delle spezie e di cherosene di allora. Socchiudo gli occhi e mi rivedo qui nello stesso punto dove sono ora, ancora un po’ impaurito dal rocambolesco atterraggio e dalla consapevolezza di essere “dall’altra parte del mondo”. Mentre allora ogni viaggio rappresentava una conquista, ora mi sembra tutto scontato, tutto naturale, insomma ora mi rendo conto che per me viaggiare è diventata una professione e come tale il piacere della scoperta del nuovo si è notevolmente affievolito.

Un pullman nuovissimo dotato di tutti i comfort ci trasferisce all’hotel Hyatt che si trova proprio di fronte all’hotel Ambassador, ora vecchio e fatiscente. Ricordo che dalle finestre della mia camera scorgevo un gran numero di operai che si arrampicavano come tanti ragnetti su un’ondeggiante impalcatura di bambù, per costruire un grande edificio: era l’hotel Hyatt. Mai avrei immaginato allora che un giorno sarei ritornato a Hong Kong con un gruppo di miei passeggeri e che avrei alloggiato proprio in quell’edificio allora in costruzione.
La durata del nostro soggiorno a Hong Kong è limitata alla visita della fiera ed agli incontri con operatori economici del settore che mi auguro siano fruttiferi per i miei clienti. Ci rimane poco tempo per le visite turistiche. Cheng, la nostra guida, si affretta a informarci che subito dopo la sistemazione nelle camere partiremo per la prima escursione a Kowloon e ai Nuovi Territori. In verità siamo tutti un po’ stanchi per il lungo viaggio, ma nessuno ci rinuncia. E’ impressionante vedere quanto sia cambiato l’aspetto di questa città. Lungo la Nathan Road i negozietti di spezie, i barbieri, i pescivendoli e i bugigattoli vari hanno lasciato lo spazio a numerosi ristoranti, alberghi, grandi negozi ricolmi di oggetti di lusso per una clientela numerosa ed esigente. Là dove sorgevano edifici ricoperti di striscioni pubblicitari, ora si stagliano imponenti palazzi le cui facciate sono abbellite da marmi, da immense vetrate e da vistosi ideogrammi in ottone lucidissimo. Tutto ciò evidenzia il frenetico sviluppo urbanistico di una città che ha fretta di crescere e imporsi quale una delle più importanti metropoli del sud-est asiatico. Questo prorompente modernismo è sicuramente molto attraente, ma mi rallegro quando intravvedo nelle strette vie laterali sventolare ancora i vecchi e un po’ consunti striscioni lungo le pareti dei palazzi che mi fanno ricordare con un pizzico di nostalgia il tempo in cui gli stessi mi avevano tanto affascinato. Durante il percorso Cheng racconta la storia di Hong Kong con un tono suadente nel suo perfetto italiano, ma che non riesce a catturare la mia attenzione perché sono più interessato a osservare le bellissime immagini di una Hong Kong così nuova e sfolgorante. Ci portiamo verso la periferia e lo sguardo cade inavvertitamente su quella piccola casetta, ancora lì, immutata con il suo piccolo giardino: la casa di Ling, il simpatico e gioioso Ling. D’istinto mi prende il desiderio di rintracciarlo, ma poi lascio perdere. Il pullman prosegue rapido e silenzioso per l’unica strada attraverso le campagne dell’entroterra. Che un tempo erano coltivate esclusivamente a risaie, ora immense ortaglie si estendono a perdita d’occhio, per soddisfare la crescente richiesta di alberghi, ristoranti, negozi e di una popolazione in continua crescita.

Raggiungiamo il confine con la Cina Popolare. Qui tutto è rimasto immutato, lo stesso spettrale silenzio, la stessa immensa distesa di risaie, la stessa sensazione di vuoto e desolazione.
Rientriamo a Kowloon percorrendo nuovamente la Nathan Road. I riksho sono meno numerosi di un tempo e al posto delle vecchie auto sfrecciano eleganti vetture soprattutto di marca inglese che si muovono in un traffico ordinato e sorvegliato da poliziotti che si sbracciano e fischiettano incessantemente.
Giungiamo nei pressi del porto e, superato l’imbarcadero ci infiliamo nel tunnel sottomarino che ora unisce la terraferma all’isola di Hong Kong. Pochi minuti e sbuchiamo in un ampio viale fiancheggiato da grattacieli in parte ancora in costruzione a conferma di quanto questa città sia ancora in fase di crescita. Il mondo sta realmente cambiando in maniera così veloce, tanto che a volte ho la sensazione che abbiamo messo in moto un meccanismo così complesso che a stento riusciamo a controllarne il funzionamento e rischiamo di subire più che di approfittare dei benefici che potremmo avere se riuscissimo a procedere in maniera più sensata. No, dobbiamo correre, correre sempre più rapidamente per raggiungere obiettivi sempre più lontani. Sono ancora molto giovane e solo all’inizio di un progetto che è ben tracciato nella mia mente, ma sono consapevole che dovrò faticare  molto per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato. Mentre sono preso da queste elucubrazioni, giungiamo sul Victoria Peak dove ho l’impressione che qui sia rimasto tutto immutato: lo stesso curio shop con un’offerta abbondante e adeguata, un piccolo ristorante e niente più. I miei passeggeri sembrano molto soddisfatti di questa escursione e osservo che Cheng non si spazientisce mai, è molto disponibile e risponde alle domande in maniera competente attirando l’interesse di tutti.
Giungiamo nella baia di Aberdeen, dove sono sorti un numero incredibile di brutti grattacieli destinati ad alloggiare i cinesi che normalmente abitavano sui sampan, ma Cheng ci racconta con un pizzico d’ironia che questo progetto del governo è totalmente fallito perché gli abitanti dei sampan non intendono minimamente essere imprigionati in quei minuscoli abitacoli e preferiscono continuare a vivere sulle barche e affittare gli appartamenti. Nella baia è sorto un gigantesco ristorante galleggiante, il Jumbo Kingdom affollatissimo di turisti seduti attorno ad enormi tavoli rotondi incessantemente riforniti da cameriere che volteggiano leggere portando enormi vassoi stracarichi di scodelline, salsine, zuppe e gigantesche grigliate di pesce. Dopo questo pranzo luculliano ci portiamo verso la balaustra per divertirci a lanciare in mare alcune monetine e osservare i ragazzini tuffarsi con l’intento di afferrare la piccola preda che, se riescono nell’impresa, ce la mostrano sbracciando e sorridendo; è un deplorevole passatempo per turisti diffuso in altre parti del mondo.
Per oggi abbiamo terminato le visite turistiche. Sulla via di ritorno in albergo noto che i passeggeri pur essendo molto stanchi, sono animati da una gran voglia di sfruttare ogni minuto disponibile per godersi fino in fondo questa città che li sta letteralmente affascinando. Non paghi del pranzo, mi chiedono di organizzare per la serata una cena in un ristorante di primissimo ordine. Sono tutte persone molto facoltose e ciò facilita il compito. Con l’assistenza di Cheng prenoto un gigantesco tavolo rotondo al ristorante Golden Dragon sulla Nathan Road. La cena si svolge in un’atmosfera talmente gioiosa che rischiamo di trascorrervi tutta la notte. L’atmosfera è molto gaia e sembra che queste persone siano unite da legami di profonda amicizia, ma in realtà fra loro ci sono alcuni ben noti per la loro aggressività commerciale e disposti a tutto pur di prevalere sugli altri, i quali “altri” sono proprio al loro fianco.

17 gennaio
Mr Zhangjou si presenta puntuale mentre stiamo facendo la piccola colazione e mi invita a sollecitare i passeggeri di affrettarsi a salire sul pullman che ci porterà al Palazzo dei Congressi, sede dell’esposizione, dove un cocktail di benvenuto è stato organizzato appositamente per i miei clienti, alla presenza del presidente della fiera e di funzionari delle camere di commercio. Bisogna dire che questo è l’unico gruppo di operatori economici proveniente dall’Europa in visita a questa prima edizione della fiera e per questo ci hanno ricevuti letteralmente con il tappeto rosso. La cordialità e l’eleganza con cui siamo stati accolti ha avuto un grande impatto positivo sui miei passeggeri e di riflesso sulla mia organizzazione. Trascorriamo tutta la giornata in fiera e gli incontri con gli espositori cinesi sembrano riscuotere un grande interesse da ambo le parti. Considerato che questi industriali, nonostante i loro nomi altisonanti, non parlano nessuna lingua straniera, ho fatto predisporre un piccolo esercito di interpreti che oltre ad essere molto carine sono anche bravissime e ci mettono tutto l’impegno per soddisfare il cliente loro assegnato. Al termine di questa prima giornata sono tutti più che soddisfatti. Ceniamo nel ristorante dell’albergo in un’atmosfera di grande cordialità.

18 Gennaio - Giornata intensa di incontri con operatori economici. Gli incontri si tengono in mattinata nella sala convegni dell’albergo alla presenza di personalità istituzionali. Nel pomeriggio sono previste visite a locali industrie dove ognuno prenderà accordi di partenariato che aprirà loro la strada per un intensificarsi di rapporti che per alcuni di loro assumeranno proporzioni gigantesche. E tutto è nato da questa viaggio a Hong Kong. 
19 gennaio - Durante la prima colazione che consumiamo al coffee-shop un po’ velocemente perché siamo in ritardo per il trasferimento all’aeroporto, un signore che, solo a guardarlo normalmente incute un po’ di soggezione anche per l’arcinoto nome che porta, si alza e si rivolge a me, a nome di tutti, dicendo:
“Caro Moretti, guardi che siamo tutti d’accordo che l’anno prossimo quando ci porterà qui a Hong Kong per la seconda edizione della Fiera, si ricordi che vogliamo andare anche a Macao, almeno per un giorno”
Ciò significa che sono soddisfatti dei miei servizi e che intendono continuare a usarli. Ne sono molto lusingato. Io che ho iniziato da poco a muovermi da solo in questa attività, vengo chiamato per nome in maniera così cordiale, quasi da pari a pari da questo personaggio dell’alta industria italiana. Sento di essere sulla strada giusta, non devo mollare.

Sotto una pioggia torrenziale, ci imbarchiamo sul Tristar della Cathay Pacific con destinazione Taipei. Già nella fase di atterraggio noto che la città si estende su un vasto raggio fitto di palazzi costruiti là dove un tempo c’erano piccole costruzioni fatiscenti. Siamo alloggiati all’hotel President, lo stesso di quattordici anni fa. Qui non è cambiato nulla, se non per il giro delle prostitute ora elegantissime e più numerose, insomma hanno fatto carriera.
Trascorriamo il rimanente della giornata in fiera per la prima visita a questa esposizione che, a parere dei miei clienti, dovrebbe essere molto interessante. Anche qui siamo l’unico gruppo di visitatori italiani e come tale veniamo ricevuti dalla direzione del salone con ogni riguardo: un cocktail di benvenuto, un discorsetto del presidente della fiera e un invito alla cena di gala, molto gradito da tutti. L’esposizione è molto interessante a giudicare dall’insistente attenzione che ognuno dei miei clienti dimostra in ogni stand. Sembra che alcuni abbiano allacciato anche qui ottimi contatti.

20 gennaio
Mentre i miei passeggeri trascorrono tutta la giornata in fiera con l’assistenza competente del mio corrispondente signor Fijin e di un’altra schiera di interpreti, preferisco gironzolare da solo per la città. Trovo sempre affascinante confondermi tra gente di popoli diversi. Sulla via del ritorno mi soffermo al mercato dei serpenti che si sviluppa lungo una stradina affollatissima di un quartiere di dubbia fama. Sono attratto da un gruppo di persone che si agitano davanti ad un chiosco tenendo le braccia tese verso l’alto mostrando una banconota. Sono tutte persone di mezza età e poveramente vestite. Dietro il bancone un giovane a torso nudo, dalla pelle olivastra e sudaticcia, sta estraendo da una cesta un lungo e grosso serpente. Lo tiene cautamente stretto sotto la testa per evitarne il morso fatale, mentre gli si attorciglia disperatamente lungo il braccio nel tentativo di difendersi, ma un colpo secco lo fa penzolare con deboli movimenti. A questo punto il giovane con un affilatissimo coltello gli pratica un’incisione giusto dietro la testa. Afferra un lembo di pelle e con un gesto deciso tira verso il basso scorticandolo interamente. Alza il braccio muscoloso e sanguinolento per mostrarlo al pubblico con un ampio gesto ricevendone una generale approvazione espressa con urla, risate e gesti osceni. Sto osservando questa scena rimanendo leggermente in disparte, ma è tutto così strano che non posso fare a meno di avvicinarmi tanto da sentirmi coinvolto in questa esperienza così irreale. Il giovane mi rivolge un sorriso di difficile interpretazione e mi fa cenno di avvicinarmi ulteriormente; fingo di non comprendere e rimango ben saldo dove sono. Poi con un affilatissimo coltello incide un punto scelto con molta attenzione verso la coda e il sangue comincia a uscire dalla ferita suscitando eccitazione tra la folla. Strizza il rettile energicamente dalla testa verso il basso per fare uscire tutto il sangue, fino all’ultima goccia. Lo raccoglie in diversi bicchierini di vetro opaco e sporchi d’intrugli precedenti. Terminata quest’operazione, il giovane scaraventa in una cesta ciò che rimane del serpente. Con un cucchiaio di legno estrae da un vaso di vetro della polverina bianca che versa in ogni bicchierino facendo molta attenzione che non ne vada persa. Poi da sotto il bancone prende un cartoccio di carta oleata e sudicia, ne estrae alcune pillole mettendone una in ogni bicchierino. A giudicare dall’espressione furbesca che assume nello svolgere quest’operazione, intuisco che si tratta di un ingrediente di fondamentale importanza. Agita l’intruglio con un bastoncino di bambù e allinea accuratamente i bicchierini a tutta lunghezza del bancone, ne conto una ventina. Prende da ognuno la banconota e consegna il bicchierino con occhi dilatati, vagamente allucinati e con un sorriso di oscena complicità. Il suo tanto bramato intruglio viene rumorosamente scolato fino all’ultima goccia con evidente frenesia. Non ce n’è abbastanza per tutti, ma il giovane è già alle prese con un altro sfortunato rettile. Cerco di sapere da un ometto che mi sta a fianco che cosa li spinge a tracannare un tale, secondo me, disgustoso intruglio e lui con un altrettanto disgustoso sorriso sdentato e sanguinolento mi fa capire, indicando il suo bassoventre, che si tratta di una bevanda altamente afrodisiaca e mi allunga il suo bicchierino indicandomi di leccare le ultime gocce rimaste. Gentilmente allontano il bicchierino, gli sorrido, un leggero inchino, volto le spalle e mi allontano in fretta con un irrefrenabile conato di vomito.

21 Gennaio - E’ una giornata fitta d’incontri con esponenti della camera di commercio locale e con operatori del settore interessati ad allacciare rapporti con i nostri imprenditori. Il mio intervento è stato continuo e in alcuni casi sicuramente efficace. La soddisfazione generale è molto alta.

22 gennaio - Partiamo nel tardo pomeriggio con il DC-10 jet della Lufthansa per Bangkok, dove arriviamo puntuali alle 23.25 all’aeroporto Don Muang. Il caldo misto a una percentuale di umidità altissima è terrificante e solo il tempo di scendere dalla scaletta dell’aereo e infilarci nel terminal è sufficiente per sentirci letteralmente bagnati. Incontriamo Channarong, il mio corrispondente, elegante nel suo abito di stile europeo e molto gentile nel suo modo di porsi.
A bordo del pullman che ci porterà in albergo, siamo accolti da una graziosa hostess avvolta nel suo elegante abito tradizionale di seta color viola che con uno smagliante sorriso e un suadente Sawadee ci offre una delicata orchidea. Siamo tutti estasiati e non mancano commenti di grande compiacimento per questa gentile accoglienza.
Channarong si siede al mio fianco e mi preoccupo subito di chiedergli se all’hotel Siam Intercontinental saremo tutti sistemati nei bungalows del giardino come mi ero raccomandato.
“Si, signor Moretti, siete tutti sistemati nei bungalows come lei ci ha chiesto”
“Grazie, ci tenevo molto”
“Abbiamo predisposto un servizio VIP per il suo gruppo, come lei ci ha chiesto”
“Grazie Channarong. Deve sapere che sono tutti alti esponenti dell’industria italiana di abbigliamento e di articoli sportivi. Sono in visita a Bangkok solo per una sosta turistica prima di rientrare in Italia”.

“Faremo del nostro meglio perché siano felici di aver deciso di fare questa sosta nella nostra città”
Ne sono convinto e le assicurazioni di Channarong mi rilassano.
Restiamo in questa splendida città un paio di giorni e visitiamo tutto quello che il turista deve vedere: l’immenso complesso che costituisce la residenza reale situato nell’isola di Ratankosin e cintato da imponenti mura. Channarong si dilunga in una meticolosa descrizione del complesso reale, ma a dire il vero mi distraggo molto frequentemente preso dalla magica atmosfera di questo luogo, arricchito di giardini tropicali di rara bellezza sfolgoranti nella loro smagliante fioritura. Si, un giorno anch’io avrò un giardino tanto grande e altrettanto bello – mi lascio catturare da questo sogno. Ho l’impressione che Channarong si renda conto di quanta poca attenzione rivolgo alla sua descrizione del palazzo e rivolge lo sguardo direttamente a me quando dice:
“Questo complesso fu costruito verso la fine del XVIII secolo dal re Rama I e fu residenza della famiglia reale per 150 anni. Oggi vi si celebrano gli atti ufficiali e le incoronazioni. Potete notare che la sua architettura è di puro stile tailandese con le sue cupole a forma di cono interamente dorate. Vi farà piacere sapere che una parte delle sue sale sono abbellite con marmi di Carrara”.
All’interno del complesso del palazzo reale, ci incamminiamo verso il tempio buddista più sacro in Tailandia il Wat Phra Kaeo che ospita la statua del Budda di Smeraldo, intagliata in un blocco di giada nel XV secolo. Qui Channarong ci dice che il nome completo del tempio è Wat Phra Sri Rattana Satsadaram e ci invita a ripeterlo: nessuno ci riesce e lo invito a non insistere. Giunti nella sala della statua, Channarong ci indica il limite oltre il quale non è permesso andare; dovremo ammirare questa bellissima scultura solo da una certa distanza perché solo il re ha il diritto di avvicinarsi. Il tempio è adorno di belle statue dei “kinnara”. All’accenno di questo nome ci scambiamo fugaci occhiate interrogative che non sfuggono a Channarong, il quale ci rassicura dicendo:
“Voi non potete conoscere tutti i personaggi della nostra mitologia buddista e quindi è logico che non sappiate chi sono i Kinnara”
Questa precisazione di Channarong ci ha fatto uscire da quella strisciante sensazione di ignoranza che ci aveva temporaneamente pervaso.
“I kinnara sono amanti per eccellenza dotati di un talento celestiale nel campo della musica e sono raffigurati, come potete ben vedere, con un corpo per metà umano e per metà di uccello e sono considerati eterni amanti, non si separano mai, sono marito e moglie, ma non generano prole, si amano in un eterno abbraccio, non permettono che tra loro s’inserisca una terza entità, la loro vita è una vita di eterno piacere”.
Brevi ma molto eloquenti occhiate vengono lanciate con accenni di sorrisi compiacenti.
Nel pomeriggio ci portiamo al mercato galleggiante di Darmsaduak, dove assistiamo a un interessante spettacolo di danze durante la cena.

Il mattino del 24 gennaio il gruppo viene trasferito all’aeroporto per imbarcarsi sul volo di rientro in Italia. Il modo con cui ci salutiamo all’aeroporto che non esagero se uso l’aggettivo affettuoso, mi conferma la loro piena soddisfazione con mia grande gioia. Io avevo in precedenza preso accordi con Morselli (nome fittizio, ma il vero nome è a tutti arcinoto) di accompagnarlo a Colombo alla ricerca di T-shirts di puro cotone che egli intende proporre sul mercato italiano. Per questo gli presenterò Yvonne, la moglie di Widge Senewiratne, il mio corrispondente di Ceylon, proprietaria di un’industria tessile. Prima di lasciare Bangkok prendo accordi con la signora Suwisa, responsabile del settore conferenze per incontrarla alle ore 9,30 precise il giorno dopo del mio rientro da Ceylon. Insieme dovremo recarci alla Facoltà di Ginecologia riguardo al Simposio Internazionale per il quale mi propongo come loro rappresentante ufficiale per l’Italia al fine di organizzare la partecipazione dei delegati italiani. A fine mattinata partiamo dall’albergo con la limousine del mio corrispondente e l’autista Samyas ci porta a tutta velocità all’aeroporto; siamo come al solito in ritardo e il traffico a quest’ora del giorno è molto sostenuto. Mi accordo con Samyas di trovarsi all’aeroporto al mio arrivo da Colombo. Dopo una mezz’ora di volo circa il comandante ci invita a tenere le cinture allacciate perché sorvoleremo una vasta zona di forti turbolenze. Anche il personale di bordo non ha potuto svolgere le attività di servizio perché costretti a rimanere seduti e ben allacciati. Insomma è stato un volo piuttosto agitato, ma l’atterraggio all’aeroporto di Colombo è stato perfetto.
All’aeroporto siamo ricevuti da Rossana e Duwisa, due bellissime hostess avviluppate in sgargianti sari che Widge ha voluto mandare per incontrarci. Ci illustrano il programma della giornata che Widge ha predisposto per noi. Per la seconda colazione, ci portano al Brown’s hotel di Negombo, una località a circa trenta chilometri a nord di Colombo. Impatto tragico con la cucina di Ceylon, piccantissima; per oltre mezz’ora abbiamo avuto la bocca completamente anestetizzata. E’ il mio primo viaggio a Ceylon e l’impressione che ne ricevo è molto piacevole. Il verde intenso delle palme, delle innumerevoli quantità di piante esotiche, fiori bellissimi, pesanti cascate di buganvillea dai colori più disparati. Il sorriso dolce, occhi bellissimi e l’atteggiamento gentile di questa gente mi fa pensare che sia un popolo gioioso in contrasto con l’ambiente che palesa un livello di grande indigenza. Nel pomeriggio siamo in città per incontrare Widge nel suo ufficio che si trova in un massiccio edificio di architettura tipicamente coloniale, bianco come tutti gli altri edifici del centro. L’ufficio si sviluppa su tutto il primo piano ed è composto da un numerose stanze, sale e saloni dalle pareti bianche in contrasto con il pavimento e l’alto soffitto entrambi in mogano. Veniamo accomodati in un salotto ben arredato dove una pala gira vorticosamente facendo smuovere solo altra aria calda e umida. Una graziosa signora stretta in un sari verde scuro ci serve un te aromatico. Trascorso il rituale tempo di attesa, veniamo introdotti nell’ufficio di Widge che ci accoglie con un grande sorriso e con una lunga serie di formule di benvenuto. Lo avevo incontrato a Milano qualche mese prima in occasione di un suo viaggio di lavoro e in breve stipulammo un contratto di collaborazione. Dal suo aspetto florido, dall’abbigliamento e dal suo portamento elegante traspare il suo stato di agiatezza. Si prendono accordi per “Morselli” che all’indomani incontrerà la signora Senewiratne, seconda moglie di Widge, che gli farà visitare la sua fabbrica di T-shirts e subito dopo sarà accompagnato all’aeroporto per la partenza con un volo diretto per l’Italia. L’autista porta “Morselli” in albergo e poi ritorna per accompagnarmi a casa di Widge. E’ una graziosa, elegante villa immersa in un lussureggiante giardino di piante e fiori tropicali. Yvonne, sua moglie, è una signora di aspetto molto gradevole, un po’ altera, misurata nella conversazione, elegante nel suo sari color verde ricco di arabeschi dorati. Mi accompagna nella mia stanza dal semplice ed essenziale arredamento. Faccio una lunga doccia tiepida e mi cambio per la cena. Siamo in attesa che giunga “Morselli” mandato a prendere dall’autista prima di metterci a tavola. Il loro cuoco viene a illustrarci i vari piatti e lo fa con un tono gradevole e seducente. La cena si svolge in un’atmosfera di grande eleganza e “Morselli” è visibilmente felice di poter trascorrere una serata in una casa privata. In seguito mi dirà che è stato per lui un momento indimenticabile.  Mi sento un po’ stanco; è stata una giornata lunga e faticosa. Di sera il caldo è più sopportabile, ma l’umidità si mantiene altissima. Mi accomiato presto dai miei gentili ospiti e comincio a leggere la Storia di Ceylon, un libro avuto in dono da Duwisa.

Mi sveglio alle 6,30 in punto. La temperatura è ancora gradevole, ma non durerà per molto. Il cameriere mi porta un buon caffè e il giornale locale. Dopo una ricca colazione all’inglese arricchita con mango e papaya, partiamo con due auto, Widge diretto in ufficio ed io mi faccio accompagnare all’hotel Mount Lavinia dall’autista che rimarrà a mia disposizione per tutta la giornata. L’albergo si trova a qualche chilometro a sud di Colombo. Percorriamo la stretta strada nazionale, semi asfaltata e raggiungiamo presto la periferia. I margini della strada sono affollati da un interminabile fila di uomini stretti nei loro sarong e di donne nei loro variopinti sari, camminano con passo svelto e portano sul capo cesti ricolmi di frutta e fiori. Penso si stiano dirigendo o provengano da qualche mercato ma Willy, l’autista, m’informa che oggi ricorre una festività buddista ed è usanza portare un’offerta al tempio. In periferia le case in muratura si fanno più rare e quelle poche, sparse qua e là, sono aggredite da un’incuria totale. Più oltre sono più frequenti le baracche di legno o semplici riquadri protetti dal sole inesorabile da un telo in genere a brandelli. Più ci si allontana dalla periferia il verde intenso della vegetazione prende il sopravvento su tanto squallore. Alla mia sinistra si estende a perdita d’occhio un’immensa piantagione di banane e poco più avanti intravvedo una bella casa in legno dipinto di bianco costruita su due piani in puro stile coloniale, ma tenuta male. Willy mi dice che molte case un tempo abitate dagli inglesi sono ora abbandonate e sono occupate illegalmente dai locali, ma le autorità fingono di non vedere. Sono affascinato da quel luogo e immagino come si possa vivere meravigliosamente bene in un simile ambiente. Willy mi dice inoltre che molte case sono in vendita e si possono comprare a poco prezzo. Questa informazione mi attrae pericolosamente.
Arriviamo all’imponente complesso dell’hotel Mount Lavinia, circondato da un rigoglioso e ben curato giardino con due grandi piscine che si prolungano fin sulla spiaggia. Dopo aver visitato l’albergo, mi viene servito un thé al gelsomino con una grande varietà di pasticcini sull’ampia veranda con vista sull’oceano. Rimango piacevolmente a conversare con il direttore per qualche minuto, ma sono lieto che abbia un altro incontro così che posso rimanere solo a immergermi nella bellezza di questo luogo. Sono frastornato. Vorrei rimanere qui per sempre. Scendo la lunga scalinata che porta alla spiaggia e m’incammino verso sud. Mi tolgo le scarpe e il contatto con la sabbia finissima mi procura un gran senso di benessere. Alla mia sinistra e per tutta la lunghezza infinita della spiaggia, si riversa una cascata di fitta vegetazione come se fosse una gigantesca onda in competizione con quelle altrettanto gigantesche dell’oceano che finiscono il loro percorso in un ultimo rigurgito di bianchissima schiuma. (Tambien el mar se muere). Intravvedo in lontananza un gruppetto di capanne, presumo di pescatori, una veduta che mi fa ricordare la bellissima vacanza trascorsa in una capanna sulla spiaggia di Tarros in Sardegna e con questo ricordo mi dirigo con passo sicuro verso quelle capanne. All’improvviso un ragazzino sbuca dalla vegetazione e mi si para dinanzi con tale grinta che mi costringe ad arretrare di qualche passo. Dice di chiamarsi Freddy. Avrà circa dieci anni e il suo esile corpo è a malapena coperto da uno straccio incolore. I nerissimi e lucidi capelli si riversano disordinatamente sulla fronte lasciando scorgere occhietti furbissimi. Noto che gli manca la mano sinistra, ma fingo di non accorgermene. Riprendo il cammino verso le capanne e Freddy mi parla della sua famiglia: il padre fa il pescatore come tutti gli altri uomini del villaggio; ha due sorelline e un fratello più grande che si trova in città perché studia. Poi alza il braccio monco per farmelo vedere e lo dirige verso l’oceano, con un gesto mi fa capire che è stato morso da un pescecane. Per un breve istante si è fatto serio e pensieroso. La prima capanna che incontriamo è proprio quella della famiglia di Freddy e non è tanto differente di quella di Tarros. Mi viene offerta una bevanda non ben definibile e il mio primo impulso è di rifiutarla, ma sarebbe stato un gesto sgarbato e bevo con malcelata disinvoltura. Mi dicono che sono cristiani e che fanno parte di una congregazione di missionari che operano in un villaggio vicino. Faccio una serie di foto a tutta la famiglia con loro grande piacere. Rientro all’hotel Mount Lavinia e chiedo a Willy di portarmi dai missionari italiani. Dopo una lunga ricerca ci indirizzano alla Gesuit House dove faccio conoscenza con padre Catalano. Sono oltre venticinque anni che si trova a Ceylon ed è molto contento e un po’ sorpreso nel vedere un italiano da quelle parti. Veste in maniera che non esiterei a definire molto laica: camicia con maniche corte, calzoncini cachi e un fazzoletto al collo che usa in continuazione per asciugarsi il sudore dalla fronte. E’ piuttosto anziano e cammina con qualche difficoltà. Non tarda ad informarmi che sono già molti anni che si dedica a fare delle ricerche storiche sull’isola al ché gli manifesto, forse con troppa veemenza, il mio interesse. Credo di aver fatto un uomo felice. Mi invita nel suo minuscolo studio che è quasi interamente occupato da una massiccia scrivania di legno annerito dal tempo, dietro alla quale si staglia un’imponente libreria ricolma di libri e fogli ammassati in un perfetto disordine. Le pale del ventilatore appeso al soffitto fanno circolare un’aria calda e umida accompagnata da un intenso e fastidioso odore di muffa. Mi fa cenno di sedermi sull’unica poltroncina di fronte alla scrivania e con un ampio gesto col braccio mi indica il caos di fogli che la ricoprono.
“Vuole una tazza di tè?”
Senza attendere la mia risposta chiama la perpetua. Dopo qualche istante si presenta un’esile signora anziana che si avvicina alla scrivania con passetti resi brevi dalla lunga e stretta gonna. Con un timido sorriso accenna un saluto chinando leggermente il capo.
“Preparaci due tazze di tè, di quello buono, mi raccomando” e scompare silenziosamente.
“Mi dica, lei si trova a Ceylon per turismo o per lavoro?”
Gli spiego sommariamente le ragioni del mio viaggio e aggiungo che sono ospite della famiglia Seneviratne.
“Di Widge Seneviratne?”
“Si, di Widge e Yvonne Seneviratne”
“E’ una famiglia molto importante qui a Colombo e molto influente. La moglie di Widge appartiene ad una famiglia di discendenza molto ricca e i suoi antenati hanno avuto un ruolo importante nella storia di quest’isola. Lui è uno stimato uomo d’affari e negli ultimi tempi ha accumulato una grande fortuna”.
Così che vengo a conoscenza di questo aspetto inedito dei miei ospiti. A dire il vero avevo intuito che non erano persone comuni a giudicare dal loro elevato tenore di vita.
“Allora, guardi qui, vede? Questo plico contiene documenti rarissimi. L’ho trovato poco tempo fa nella casa di un nostro benefattore che li custodiva in un cofanetto di mogano antico intarsiato d’avorio”.
Lo indica appoggiato su uno scaffale alle sue spalle, è un oggetto di legno scuro, forse mogano, con intarsi in avorio che raffigurano piccoli elefanti e fogliame eseguiti con grande maestria. Un oggetto senza dubbio di grande valore.
“Ecco, guardi questo documento. Qui è descritta la storia dello sbarco dei Portoghesi sull’isola. Le faccio un riassunto di come sono andate le cose. Sa, ho lavorato tanti anni su queste ricerche storiche con la speranza di riuscire a pubblicarle a beneficio della mia missione. Spero tanto di riuscirci con l’aiuto della Divina Provvidenza”.
A questo punto la perpetua entra con passo vellutato e adagia sul tavolino a fianco della scrivania la teiera di latta sicuramente risalente alle prime guerre d’invasione, la zuccheriera sempre di latta smaltata e la tazzina di porcellana cinese con decori di paesaggi e figurine in miniatura, deve essere la tazzina delle occasioni, il tutto adagiato su un vassoietto di legno ricoperto da un tovagliolo bianco finemente ricamato. Versa il tè dal bel colore ambrato nella tazzina e il suo forte aroma prevale per un istante su tutti gli altri odori della stanza.
Padre Catalano è impaziente di iniziare a raccontarmi la sua storia e con un gesto cortese ma risoluto le fa cenno di andarsene.
“Deve sapere che i Portoghesi e gli Olandesi occuparono quest’isola da 1500 per circa 300 anni. Inizialmente conquistano i territori sud-occidentali e si insediano nelle adiacenze del forte di Trincomalee e quello di Batticaloa. Poi verso la fine del 1619 giungono i Danesi con la “Oresund” seguita da un’altra flotta che giunge l’anno successivo”.
“Com’è buono questo tè. Suppongo sia di Ceylon”
“Ma certo. Quello che lei sta bevendo è il migliore che si possa trovare sull’isola e proviene da una piantagione non tanto distante da noi. Deve sapere che la lavorazione delle foglie di tè passa attraverso vari stadi: in primo luogo le foglioline appena tritate vengono conservate come la parte migliore, la seconda fase consiste nel raccogliere quello che è rimasto dalla lavorazione precedente e noi lo consideriamo un tè di seconda qualità, infine dalle due precedenti fasi rimane una polvere che viene messa in sacchettini di carta ed è quello che bevete voi occidentali, ed è il più scadente”
Segue una risatina contenuta.
“Andiamo avanti con la nostra storia. Eravamo arrivati allo sbarco dei Danesi”
Le sue mani magre, ma ben curate si muovono sulla scrivania alla ricerca di qualche foglio tra quelli sparsi ovunque e mi porge un documento dalla scrittura illeggibile e sbiadita in cui è riportata la cronaca di quell’ avvenimento.
“Vede? E’ tutto scritto qui. Mi ci è voluto parecchio tempo per decifrare questo documento, ma alla fine ci sono riuscito”
Si tampona leggermente gli occhi con un candido fazzoletto sbucato chissà da dove, lo ripiega accuratamente e lo ripone all’interno della cintola dei pantaloni. Perché non nella tasca? Forse porta pantaloni senza tasche. Non ne sono convinto e mi allungo discretamente di fianco e riesco a notare che ha le tasche, quindi? Manie da vecchi mi viene da pensare.
Con questa distrazione credo di aver perso qualche passo della storia, ma tant’è:
“La conquista danese fu breve a causa delle malattie che decimarono le truppe, lasciando i portoghesi indisturbati nel loro territorio. Nei primi anni del 1600, l’Olanda che all’epoca era una temibile potenza europea, prende contatti con il re di Candy Rasasinha II e in seguito, nel 1638 dopo alcuni tentativi falliti, ottiene dal re un trattato con il quale s’impegna ad aiutare l’esercito olandese nella sua lotta per cacciare i Portoghesi e in cambio ottengono il monopolio degli scambi commerciali con l’isola. Insomma tutto un dare per avere: alleanze, tradimenti, intrighi. Comunque non è mica cambiato tanto, sa. Oggi succede la stessa cosa”
Comincio ad essere abbastanza stufo di questa storia che tutto sommato mi interessa molto poco, ma come posso deludere quest’uomo che ci mette tanto entusiasmo nel raccontare il risultato delle sue ricerche?. Forse una tale occasione non gli capiterà più e m’impongo di starmene buono e attento a non dare segni d’impazienza, ma è solo con un immane sforzo che riesco a trattenere uno sbadiglio.
“Allora dove eravamo?” Ah, ecco qua” e fa scorrere l’indice sulle righe di un foglio sgualcito e ingiallito e anche un po’ odoroso di muffa.
“La flotta da guerra olandese sbarca nella baia che in seguito fu chiamata Dutch Bay nel 1639 e dopo alcune ore di cruenta battaglia ha la meglio riuscendo a cacciare i Portoghesi e a impossessarsi del forte di Trincomalee dando inizio a un periodo di relativa pace che dura fino al 1672 quando all’orizzonte si presenta una grave minaccia per gli Olandesi: la nutritissima e agguerrita flotta Francese composta da nove vascelli, capitanata dall’ammiraglio De La Haye. Si dirige verso la Dutch Bay con intenti non certo di pace e gli Olandesi del tutto impreparati ad affrontare una tale minaccia, trovano rifugio all’interno delle mura della loro fortezza Pagodsberg di Trincomalee e osservano a debita distanza le mosse dei Francesi. Essi occupano e fortificano, sotto gli occhi degli Olandesi, le due isole all’entrata della baia e l’istmo da loro chiamato Fort Breton. L’ufficiale francese Boisfontaine è inviato alla corte del re di Kandy con il grado di ambasciatore, dove viene ben accolto. Il re ritiene propizio allearsi con i Francesi per cacciare gli Olandesi. Il 28 maggio 1672 i Francesi firmano un trattato di alleanza con il re in virtù del quale le baie di Trincomalee e Kottiyar sono cedute ai Francesi. Poco dopo la firma del contratto con i Singalesi, una formidabile flotta Olandese giunge inaspettatamente nella baia riuscendo a catturare un paio di vascelli francesi carichi di provviste per le truppe. Per i Francesi la situazione di sopravvivenza diventa molto critica. Inoltre le malattie e la mancanza di cibo provocano tra le fila dei francesi molti morti – La sto annoiando?”
“No, no, assolutamente” Ma in realtà pensavo che se il racconto fosse durato a lungo, mi sarei sentito di far parte delle fila francesi, braccato dagli Olandesi, minacciato dai Danesi, senza cibo e senza acqua, avrei fatto sicuramente una brutta fine.
“Gli Olandesi non perdono tempo; attaccano l’Ile du Soleil, dove i Francesi si erano asserragliati, e li annientano in men che non si dica. Così gli Olandesi rimangono gli unici e incontrastati dominatori riuscendo a estendere il loro dominio fino a Minneriya e Madavacchiya. Poi succede che in Europa il Regno Unito nel 1780 dichiara guerra all’Olanda, ma la notizia giunge a Ceylon sei mesi più tardi. In fretta e furia gli Olandesi rinforzano le difese dei loro territori perché alla fine si sarebbero dovuti confrontare con la temibile flotta inglese. E così avviene con la clamorosa sconfitta degli Olandesi. Due anni dopo questo evento, gli Olandesi si alleano con i loro vecchi nemici Francesi e riescono ad averla vinta sugli Inglesi che fuggono dalla baia senza colpo ferire. In seguito agli accordi stipulati con il trattato di Versailles del 1783, i Francesi cedono Trincomalee agli Olandesi. Gli Inglesi non si danno per vinti e il 2 agosto 1795 attaccano nuovamente Trincomalee con una poderosa flotta costringendo gli Olandesi alla resa”

Con questo andirivieni di Portoghesi, Danesi, Olandesi, Francesi e Inglesi mi era venuto un leggero capogiro e veramente non ero più in grado di starmene lì seduto ad ascoltarlo oltre. Guardo l’orologio e con un lieve sobbalzo mi sento mentire spudoratamente:
“Oh! Come si è fatto tardi. Mi deve scusare Padre, ma sono costretto a lasciarla. Ho un inderogabile impegno a Colombo e sono già in ritardo. Le assicuro che è stato molto interessante e non mancherò di farle visita in occasione di una mia più che probabile visita a Ceylon” pensando alle belle ville coloniali inglesi in vendita a poco prezzo.

Dopo una breve colazione con Widge allo Sporting Club in compagnia di alcuni suoi amici, vengo presentato alla famiglia dell’avvocato Da Silva, sono cattolici e molto ospitali. Abitano in un elegante quartiere residenziale un po’ periferico, in una bella villa immersa in uno splendido giardino tropicale nel quale si prolunga il soggiorno, attraversato a tutta lunghezza da uno scenografico rigagnolo d’acqua scorrevole che termina in una piccola piscina nella quale sguazzano coloratissimi pesci. L’atmosfera che si respira in questa casa infonde un grande senso di pace: il silenzio quasi assoluto, la rigogliosa vegetazione, i salotti di rattan bianco in stile coloniale, le pale in continuo e lieve movimento nel tentativo di rinfrescare l’aria, i discreti movimenti del cameriere nel servirci il tè, l’eleganza della signora Da Silva adagiata nella poltrona come una vera maharani. Mi sento bene circondato da tanta eleganza e sono certo che non dimenticherò questo bellissimo incontro. Mentre sorseggio il tè e ascolto la piacevole conversazione, avverto nel sottofondo un pensiero che si insinua con insistenza: un giorno quando avrò la possibilità di costruire una casa tutta mia, sarà con questo concetto di giardino-habitat che la vorrò realizzare, un connubio che è all’origine di tanta armonia.

Anche oggi è stata una giornata piacevolmente movimentata, ma resa piuttosto faticosa dal caldo e dall’elevato livello di umidità. Arrivo a casa nel tardo pomeriggio con il desiderio di trascorrere una serata di tutto riposo quando Yvonne mi annuncia di aver organizzato in mio onore una cena-buffet in giardino con alcuni amici. Non nascondo che ne sono piacevolmente sorpreso, ma nello stesso tempo sono un po’ turbato da tante attenzioni. Una bella doccia fredda, è quello che ci vuole.

Mentre Yvonne è occupata nell’organizzare la serata, aiutata da una piccola schiera di inservienti, Widge ed io ci appartiamo nella frescura del giardino per sorseggiare una rinfrescante bevanda a base di ginger. Dopo qualche istante mi rivolge uno sguardo inquisitorio che sulle prime mi fa sentire a disagio, poi abbassando il tono della voce mi dice:
“Sai mantenere un segreto?”
“Certo”
“Sto pensando di fare una vacanza in Italia per il mese prossimo”
Beh, non è poi un gran segreto, penso io.
“Porterò con me Mary, la mia segretaria. Credo che Yvonne non ne sarà entusiasta”
Ecco dove sta il segreto. Io mi sento più che mai imbarazzato da questa rivelazione che cerco di dimenticare all’istante e con molta circospezione porto l’argomento della nostra conversazione sulla situazione politica dell’isola che mi pare di aver intuito non sia del tutto tranquilla.
“Si, qui si vive alla giornata. Pochi giorni fa c’è stato un attentato terroristico alla centrale della polizia, proprio a pochi passi dal mio ufficio; sono morti una decina di poliziotti ed alcuni passanti. Al mattino quando esco da casa spesso mi domando se sarà l’ultima volta”
Queste rivelazioni mi sconcertano. Mi rendo conto che normalmente la reale situazione socio-politica di un paese, vista con l’occhio del visitatore di passaggio è ben lungi dalla realtà. Ma pensando alla gentilezza di questa gente, il loro sorriso, le loro gentili movenze, mi sembra impossibile vederli partecipi ad atti di violenza.
“Non sono quelli che vedi per strada che dobbiamo temere. In questo paese esiste una minoranza Tamil che non vuole assolutamente assoggettarsi alle leggi della maggioranza Singalese che è ora al governo sotto la guida della signora Sirimavo Bandaranaike che per inciso è la prima donna al mondo a capo di uno stato. La differenza religiosa e culturale che è all’origine del conflitto interetnico non troverà mai una soluzione pacifica e siamo consapevoli che la tenacia con cui i Tamil difendono i loro principi li porterà ad atti terroristici sempre più cruenti. Non vedo un avvenire all’insegna dell’armonia tra i due gruppi, si continuerà fino all’annientamento di uno o dell’altro che molto verosimilmente sarà quello Tamil con un costo altissimo di vite umane e una catastrofica conseguenza per la nostra economia”
Rimango di stucco nel sentire questa esposizione di fatti che mi fanno seriamente riflettere sulle belle ville coloniali a poco prezzo.

Ma ora godiamoci questa bella serata. Arrivano i primi ospiti: il direttore generale delle Messageries Maritimes con la moglie Jacqueline, molto simpatica e molto francese; subito dopo un elegante signore anziano dal nome impronunciabile, rappresentante del governo con la moglie elegantissima e adornata di gioielli d’oro che la rendono sfolgorante; una giovane coppia di loro amici che avevo già incontrato al Country Club, veramente belli entrambi; infine un americano sulla quarantina, molto vivace, di passaggio a Colombo.

La cena si svolge in un’atmosfera gioiosa e le portate sono un vero spettacolo di cucina singalese; vengono adagiate con grazia al centro della tavola ovale ricoperta, per l’occasione - come mi sussurra Yvonne - con un’antica tovaglia di lino ricamata a mano. Widge invece ci stupisce con le sue bottiglie di puro champagne francese che per tenerle alla giusta temperatura le conserva in una grotta sotterranea ricoperta da folta vegetazione, come le ghiacciaie che venivano costruite nelle nostre campagne tanto, tanto tempo fa ma in uso fino a pochi anni fa. La loro spontanea gentilezza, la conversazione gaia, il fatto di farmi sentire un po’ al centro dell’attenzione non può che farmi piacere e mi sento perfettamente a mio agio. Al momento dei saluti Jacqueline m’invita a cena che organizzerà nella sua villa per lunedì prossimo perché desidera farmi conoscere il segretario generale dell’ambasciata italiana e altri suoi amici.
“Jacqueline, sarei molto felice di partecipare alla sua cena, ma il mio soggiorno a Ceylon sta per terminare. Ritornerò quanto prima e sarà un grande piacere rivedervi”.
Mi sto rendendo conto che la mia attività mi sta gradatamente inserendo in un ambiente sociale di ragguardevole condizione, ma ho la sensazione che ciò accada più facilmente all’estero che non in Italia dove, a pensarci bene, i miei rapporti sociali li sento ancora piuttosto ruvidi.

Prima di ritirarmi nella mia stanza Yvonne mi chiede se sono interessato a consultare un indovino per conoscere il mio oroscopo. Non vorrei ripetermi, ma dalle mie parti si dice che è come invitare un’oca a bere. Certamente.
Il mattino seguente di buonora raggiungo Yvonne già al tavolo della piccola colazione in giardino. La Mercedes nera è parcheggiata all’entrata della villa e nell’attesa l’autista si dà un gran da fare a passare uno strofinaccio sulla carrozzeria che a parer mio è già perfettamente lucida. Il tragitto è breve e Yvonne, donna di poche parole, mi sussurra solo che questo indovino di cui non ricorderò mai il suo complicatissimo nome, è una vera celebrità di cui tutti nutrono un gran rispetto. Sembra addirittura che alcuni premier europei lo consultino prima di prendere decisioni importanti. Ci inoltriamo in un vecchio quartiere di case basse e malandate, ma curiosamente le facciate presentano alcuni elementi decorativi che lasciano immaginare tempi migliori. E’ strano come tutto sembri andare verso un lento, impercettibile, ma inevitabile degrado. L’auto si arresta davanti ad una casetta insignificante, retrostante un piccolo giardino incolto. Yvonne mi lascia andare solo, assicurandomi che l’indovino era già stato informato della mia visita per telefono e che mi manderà l’autista a riprendermi.
Lo incontro nel suo studio, piccolo e disadorno. La finestra semichiusa lascia filtrare un debole fascio di luce movimentato da un fitto pulviscolo che forma piccoli vortici senza sosta. Mi porge la sua mano esile e delicata con un impercettibile cenno di saluto, ma rimane seduto dietro la sua vecchia scrivania ed è solo ora che riesco a mettere a fuoco il suo viso. Il suo sorriso trasmette un gran senso di serenità, gli occhi sono infossati in un alone scuro che gli conferisce un aspetto misterioso. Indossa una giacca di stile europeo, consunta e di stoffa pesante, cosa che mi sorprende considerato il normale clima caldo di questo luogo reso ancora più soffocante in questa stanza priva del benché minimo intervento rinfrescante. Non è certamente giovane, ma mi riesce difficile individuarne l’età. Attendo che mi faccia una lunga serie di domande personali con lo scopo di semplificare il suo lavoro che è quello di inventarsi il futuro. Ora, davanti a quest’uomo che mi fa provare una sensazione d’immaginario, in quest’ ambiente avvolto in un alone di mistero, mi sento improvvisamente a disagio, direi spiazzato, quasi  fuori della realtà, insomma vorrei essere altrove. Dal profondo del silenzio assoluto nel quale mi sento interamente immerso, giunge improvvisamente il suono della sua voce, tenue, profonda e seducente per chiedermi di scrivere il luogo, l’ora e la data di nascita su un foglietto di carta che mi porge sospingendolo sulla superficie lucida del tavolo con l’indice striato dalla nicotina. Apre delicatamente un cassetto laterale, ne estrae una matita, la adagia a fianco del foglietto, si appoggia allo schienale e con un lieve cenno del capo m’invita a scrivere. Sono informato dell’ora precisa della mia nascita perché conservo ancora un biglietto scritto da mio padre in cui si legge: “Annuncio che questa mattina alle ore 4 è nato un bel maschio che chiameremo Giampiero” Lo tengo appeso a fianco della testiera  del mio letto da sempre e forse per sempre.
Glielo allungo e mi sorprendo nel notare che eseguo questo gesto a sua imitazione.
Rimane immobile, adagiato allo schienale, le mani in grembo e non fa cenno di prendere il biglietto. Mi sembra pensieroso o forse semplicemente assente. Poi il suo sguardo si fissa sul biglietto e vi rimane per un tempo interminabile con un’espressione impenetrabile. Mi rendo conto che non ho alcuna possibilità di prendere la benché minima iniziativa per uscire da questo momento di stallo e me ne sto buono ad attendere gli eventi.
Finalmente allunga la mano per prendere il biglietto: la cosa mi procura un improvviso sollievo misto a una leggera sensazione di contenuta esultanza. Lo legge a lungo, molto a lungo, troppo a lungo, tanto che vorrei chiedergli se comprende quello che ho scritto, ma con uno straordinario impulso di saggezza, me ne astengo. Forse si sta concentrando, forse è entrato in trance, forse sta semplicemente pensando agli affari suoi, insomma ancora una volta rimango in attesa di eventi. A risolvere questo secondo momento di stallo è l’autista che arriva provvidenzialmente per riprendermi e mentre sta parcheggiando l’auto davanti a casa, l’indovino con un lieve atteggiamento misterioso esordisce nel dirmi sempre con un filo di voce, che l’autista è fuori ad attendermi. Non vorrei che pensasse che io pensi che lui abbia indovinato l’arrivo dell’autista, perché l’ho sentito anch’io arrivare.
Insomma per dirla in breve non ho molta fiducia di questo indovino. Dopo aver accennato a qualche formula di saluto mi invita a ritornare domani per ritirare il mio oroscopo. Sono piuttosto deluso, ma che importa. A dire il vero penso proprio di non ritornare a ritirare quello che s’inventerà sul mio destino e se lo farò, sarà solo per riguardo a Yvonne.

Il giorno dopo ricevo un messaggio tramite il domestico di Yvonne che il mio oroscopo è pronto. Mi faccio accompagnare dall’autista, ma devo dire che ci vado di malavoglia. Lo trovo seduto dietro la sua scrivania nella penombra della stanza che oggi odora piacevolmente di un delicato profumo d’incenso. Devo ammettere che mi sento un po’ intimidito e forse un po’ timoroso. Vorrei alzarmi da quella scomoda sedia e uscire da quella stanza che ora mi procura un senso di oppressione. Alzo gli occhi e avverto il suo sguardo pieno di una benevolenza disarmante e con un impercettibile cenno del capo m’invita a rimanere, come se avesse letto nel mio pensiero. Ora mi sento rilassato e di buon grado mi accingo ad ascoltare il mio destino dalle sue labbra. Mi dice che non è interessante che mi elenchi gli avvenimenti del passato, ne convengo. Per darmi prova della sua capacità mi dirà in dettaglio che cosa mi succederà nelle prossime quarantotto ore e poi seguiranno gli avvenimenti futuri in modo più generico. E così inizia dicendomi con voce pacata e con lo sguardo concentrato sui suoi calcoli:
“Vedo che domani lei si troverà in un luogo lontano da qui e alle ore 13.00, ora di Ceylon, incontrerà una signora con la quale avrà una discussione di rilevante importanza per il suo lavoro. Questo incontro terminerà dopo circa un’ora, mentre la discussione continuerà con un signore che rimarrà con lei tutta la giornata”.
Prima rapida considerazione: sulla mia partenza di domani lo avrà captato o saputo da Yvonne – sono molto abili questi personaggi a carpire le informazioni. Però sull’appuntamento di domani con Suwisa ci ha azzeccato, ma ha fatto uno scivolone sull’orario perché è fissato per le 9,30. Poi avrà intuito che sono in viaggio di lavoro quindi è facile pensare che possa avere contatti d’affari con qualcuno. Insomma comincio a non dargli troppo credito.
 “Da oggi (1 febbraio 1977) e per quarantacinque giorni ci sarà un rinnovamento nella sua attività, un cambiamento di rotta oppure l’inizio di una nuova attività. Per quest’ultima evenienza una decisione sul da farsi dovrà essere presa entro la fine di maggio. Una collaborazione che non mancherà di avere risultati positivi sarà intrapresa con organizzazioni straniere che la costringerà a viaggiare molto. Ogni rapporto con stranieri le sarà particolarmente facile e fruttuoso. Mentre il rapporto con le persone del suo stesso paese sarà difficile e dovrà sempre essere diffidente”
Seconda rapida considerazione: sulla collaborazione con organizzazioni straniere e sul mio facile rapporto con gli stranieri, beh! Devo dire che ci ha azzeccato. Sarà bene che lo ascolti con più attenzione.
“Dopo l’8 di luglio la sua attività le procurerà grande soddisfazione e le porterà buoni frutti contribuendo sensibilmente ad aumentare il suo patrimonio. In settembre è previsto un nuovo cambiamento che sarà caratterizzato da un sensibile miglioramento dal punto di vista sia professionale che finanziario. In genere i guadagni non richiedono particolari sforzi e sono in misura assai rilevante. Si prevedono anche delle perdite, ma non raggiungeranno mai livelli preoccupanti. Le consiglio di investire almeno il 40 per cento dei suoi introiti. Dal settembre 1977 all’ottobre 1980 sarà il periodo migliore della sua vita sotto ogni punto di vista, sia esistenziale sia finanziario. Il rapporto con le donne nel campo del lavoro sarà particolarmente redditizio. Nel 1979 prenderà in seria considerazione la possibilità di sposarsi; in questo caso la donna che sposerà farà attivamente parte della sua attività e avrà due figli, ma il secondo se ne andrà presto; sarà un matrimonio felice”.
Terza rapida considerazione: quindi fra un paio d’anni dovrei intrappolarmi e la cosa mi preoccupa e su questo punto spero abbia preso un altro scivolone.
 “Dal 1980 al 1983 viaggerà molto all’estero, ma dal dicembre 1982 a febbraio 1984 avrà dei disturbi allo stomaco che la costringeranno a un ricovero in ospedale. I disturbi comprenderanno anche l’apparato intestinale con infezioni batteriche. Le consiglio di rispettare sempre una rigorosa dieta. Dopo il 1980 la base della sua attività sarà situata all’estero. Nel 1983 prevedo l’inizio di una nuova attività senza particolari conseguenze. Fino al 1990 il lavoro le porterà molto denaro e sarà un periodo di grande benessere e felicità. Dopo il 1990 per dieci anni il denaro entrerà molto facilmente e in quantità ragguardevole”.
Quarta rapida considerazione: quest’uomo è veramente straordinario; gli credo ciecamente.
E così di seguito fino a farmi intendere più o meno il periodo in cui:
“la sua costellazione entrerà in conflitto con un’altra più potente e .....”  solleva gli occhi mi guarda con un sorriso  molto dolce e mi lascia intendere che sarà la fine.
Quinta rapida considerazione: Mah!
Inoltre mi dice che devo sempre seguire il mio primo istinto ogni qualvolta che devo prendere una decisione perché le mie esistenze precedenti mi hanno dotato di un particolare intuito. La mia pietra porta-fortuna è lo zaffiro giallo. Il giorno fortunato è il trenta di ogni mese e per viaggiare è consigliabile farlo di lunedì. La domenica è il giorno preferito per gli incontri d’affari – mi sembra improbabile – I colori di cui mi devo circondare sono il bianco, crème, rosso, arancione, oro e giallo, mi porteranno fortuna.
Terminata la lettura alza gli occhi prima verso la finestra per qualche istante e poi dritto nei miei come se volesse leggervi il mio stato d’animo. Non so come reagire, mi sento impacciato. Il suo sorriso benevolo mi rincuora e sembra che voglia dire – non prenda tutto troppo sul serio.
Mi consegna una medaglia d’oro sulla quale aveva fatto incidere la mia costellazione e all’interno aveva fatto mettere la Vibuthi, la cenere sacra da lui stesso materializzata e mi suggerisce di portarla sempre con me perché è un forte generatore di energia.  Lo farò.

L’autista mi porta nell’ufficio di Widge per discutere alcune iniziative di viaggi e poi a casa dove trascorrerò il pomeriggio in compagnia di Yvonne per raccontarle la mia esperienza con l’indovino. Dopo una cena molto leggera Yvonne e Widge mi accompagnano all’aeroporto e sentiamo che questo breve incontro ci ha legati con un senso di profonda amicizia. Lascio Colombo un po’ frastornato da tanti avvenimenti e prendo l’ultimo volo per Bangkok, dove mi aspettano un paio di giorni di lavoro prima di rientrare in Italia. All’aeroporto incontro l’autista Samyas sempre sorridente che mi porta all’hotel Siam Intercontinental. Sbrigo le formalità alla reception e il portiere mi porge la chiave unitamente ad una busta contenente un messaggio. Mi hanno riservato un bungalow nell’ampio giardino, vicino alla piscina esattamente come avevo chiesto. L’aria è piacevolmente tiepida e percorrendo gli stretti viottoli sono invaso da un intenso profumo dei fiori di gelsomino e di frangipani, sparsi ovunque. Il cielo limpidissimo è letteralmente tempestato di stelle; godo di questo momento magico. La camera è gelida dall’aria condizionata che mi affretto a spegnere e sistemo il mio bagaglio. Mi cade la busta sulla moquette e rimango qualche istante a fissarla un po’ timoroso, come se contenesse qualche messaggio dall’ufficio o qualche notizia spiacevole. Il messaggio dice testualmente:
-Mr Moretti, I am very sorry for not being able to meet you tomorrow at 9h30 as planned. I will meet you in the hall of your hotel at 12h00 o’clock. Hope it suits you. Kindest regards Suwisa-
Sono sconvolto! Esattamente come aveva predetto l’indovino. Ora sono più confuso che mai. Devo credere o no su tutto quello che ha predetto? Poi mi dico che potrei avergli trasmesso telepaticamente ciò che mi ha predetto nell’arco delle quarantotto ore, ma come poteva se nemmeno io sapevo di questo cambiamento? Staremo a vedere. Ora mi sento accaldato e riaccendo l’aria condizionata.

All’indomani puntuale alle 12,00 incontro nella hall Suwisa splendida ed elegante. Mi invita a fare colazione nel ristorante cinese di fronte all’albergo e trascorriamo un’oretta chiacchierando come vecchi amici, ma evito di riferirle il fatto dell’indovino. Si comincia a parlare di lavoro e verso la fine del pranzo assume un’espressione leggermente dispiaciuta e m’informa che non potrà rimanere con me tutto il giorno come previsto, ma è costretta a lasciarmi nelle mani di un suo collega che conosce personalmente gli organizzatori del Convegno Internazionale di Ginecologia e questo faciliterà la mia designazione quale loro delegato per l’Italia. E così avviene puntualmente ciò che l’indovino aveva predetto. Dopo un paio di giorni trascorsi piacevolmente a Bangkok riprendo la strada del ritorno e tutto ricomincia come prima, anzi come da indovino.